Diane incontra: giorgio vierda e alberto ierardi
- cinemalumiere
- 6 mag
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DIANE: Alberto e Giorgio sono i direttori e, come diciamo scherzosamente, i capitani de La Ribalta Teatro, che al Lumière si occupa di formazione teatrale con diversi corsi. Da questa settimana sono cominciati i saggi di fine anno dei vari percorsi che curano.
Vi volevo chiedere intanto un po’ di numeri: quanti corsi tenete, quante persone avete?
ALBERTO: I numeri di quest’anno sono stati i più alti di sempre – siamo stati intorno ai 195 iscritti – poi fisiologicamente durante l’anno c’è sempre un po’ di flessione, quindi chiudiamo con circa 170 iscritti, comunque il numero più alto di sempre. Gli esiti saranno 9 spettacoli teatrali diversi - che corrispondono a 9 corsi – per 18 serate di spettacolo complessive. L’anno scorso abbiamo avuto un coinvolgimento di circa 1500 spettatori, ci aspettiamo quest’anno di arrivare ancora più in alto.
Questi sono i numeri della formazione, poi ci sono da aggiungere altri numeri proprio perché l’esperienza al fianco del Lumière dura da molto tempo e ci sono state varie esperienze (corsi di carattere seminariale o collaborazioni con altre istituzioni, come ad esempio la Fondazione Arco).
GIORGIO: Anche l’organico di insegnanti quest’anno è il più alto di sempre – siamo in 5 – proprio perché vanno sostenuti più corsi e più ore di lavoro.
Volevo aggiungere che questo è il nostro decimo anno di attività di formazione; quindi, il fatto che quello di quest’anno sia il numero più alto di sempre è qualcosa che ci dà soddisfazione, vogliamo che ogni anno le persone continuino ad aumentare.
DIANE: La crescita, quindi, è stata lineare durante gli anni?
ALBERTO: Si la crescita è stata lineare, c’è stata un’impennata verso il quarto e il quinto anno – all’incirca da 30 a 70 iscritti – poi ogni anno abbiamo notato un aumento di circa 10-15 persone.
GIORGIO: È interessante il fatto che ci sia stata un’impennata dopo il covid, perché si vedeva che la gente aveva voglia di socialità.
DIANE: Chi sono le persone che vengono al vostro laboratorio? Ve lo chiedo perché viviamo in un’epoca molto digitale in cui anche per conoscere una persona hai delle possibilità date, ad esempio, da applicazioni digitali. In realtà quello che mi dite dimostra che, in un’epoca mediata da strumenti digitali, ci sono comunque degli spazi di richiesta di contatto fisico.
Che ne pensate di questo? Quali sono le emozioni che emergono dai laboratori?
GIORGIO: Questa è proprio una delle cose chiave della formazione, cioè che 170 persone si prendano 2 o più ore del loro tempo alla settimana (in un periodo come quello che descrivevi tu) per stare con altre persone - con le regole del gioco del teatro ma comunque stando insieme – e avere un rapporto diretto sia fisico che emotivo. Sono due ore che hanno un tempo di scorrimento diverso: non è il tempo di fruizione ad esempio dei social, della tv, o comunque quello dettato dalla rapidità a cui siamo abituati nella vita di tutti i giorni. Secondo me è molto bello che così tante persone si prendano il loro tempo per andare a fare teatro.
ALBERTO: Si, questo è il motivo vero per cui le persone vengono, c’è un bisogno sotterraneo di questo stare nelle cose fisiche – è in fondo una richiesta di un corpo che biologicamente è il solito di milioni di anni fa. C’è quindi una nicchia (ovviamente sappiamo che non è un’attività di massa) che, però, sta diventando sostanziosa, considerando anche la dimensione della città di Pisa. Noi lavoriamo su una fascia d’età particolare per quanto riguarda la formazione, ovvero dai 20 ai 40 anni, cioè quella fascia che Pisa è abituata a formare e introdurre nel mondo del lavoro - è una città che offre formazione in tutti i sensi, e noi ci inseriamo come leader nell’ambito della formazione teatrale.
GIORGIO: Un altro dato importante è che molti sono non pisani, quindi trovano una seconda casa nella formazione.
ALBERTO: È giusto quanto dice Giorgio ma è vero che è aumentato il collante, all’inizio c’era una maggioranza ancora più schiacciante di fuorisede, mentre ora c’è anche una sostanziosa presenza di locali.
DIANE: Qual è il profilo tipico, se c’è, di chi partecipa ai vostri corsi?
GIORGIO: Moltissimi non hanno un rapporto col teatro, e infatti abbiamo riscontrato che quando uno si iscrive non è perché è un grande amante del teatro ma perché pensa – giustamente - che possa essere utile alla sua persona, per essere più sicuro, per sciogliersi, in un certo modo per giocare.
Per questo molti arrivano che un rapporto col teatro non ce l’hanno, e noi cerchiamo di avvicinarli al teatro “a tutto tondo” – non solo al fare teatro, ma anche all’andare a vederlo e a conoscerlo.
ALBERTO: Rispetto a questo fenomeno, qualche anno fa abbiamo capito che le persone fanno teatro per fare casa, per fare socialità e rispondere a quell’esigenza primordiale di cui abbiamo parlato prima. Noi quindi abbiamo voluto centrare ancora di più sul teatro la nostra offerta; pensiamo che centrando il corso sulla maniera teatrale si sviluppi molto di più la diramazione, mentre se tu cercassi direttamente la “setta” di teatranti si creerebbero altre dinamiche.
GIORGIO: Abbiamo però avuto anche corsisti che vorrebbero fare teatro nella vita, per cui utilizzano il nostro percorso come una palestra per entrare poi in accademie o cercare di diventare teatranti.
DIANE: Penso che una parte dell’essere umano ha bisogno di momenti vissuti insieme, anche momenti rituali – e che questo sia qualcosa che abbia molto a che fare con il creare delle società sane. Per questo vi chiedo, anche in maniera provocatoria, se, invece, percepite che esperienze come quelle che create nei vostri corsi siano considerare un po’ meno importanti, in qualche modo, di altri lavori drammaturgici.
GIORGIO: Un po’ è tendenzialmente considerato meno importante.
ALBERTO: Questa è una domanda anche politica, perché ad esempio nel periodo storico che stiamo vivendo ora questo tipo di azione non è considerata importante, perché la cultura è vista in un altro modo.
In generale ci sono molte sfaccettature: io talvolta lo ritengo importantissimo, mentre talvolta ho l’ambizione di portare il mio lavoro di spettacolo in giro quindi sono più chiamato a quello.
Altre volte però è importantissimo, ne vedo la potenzialità e ritengo poi che un numero così alto di persone che stanno insieme abbia già il suo valore.
Capita poi di fare interventi assieme ad organismi come la Fondazione Arco o la Cooperativa Arnera, e lì diventa immediato trovare il "valore aggiunto" – ma sono anche cose non paragonabili.
È importante chiedersi che valore ha poi la cultura all’interno della società e quanto è percepita dalla massa: io credo che un’azione culturale abbia di per sé un suo valore, e che non si possa trasformare la situazione che affrontano le persone che vivono in una certa città con certi stimoli; anche perché ritengo che i problemi e le sfide che affrontiamo adesso siano anche di carattere sociologico. È una questione che riguarda il tipo di rapporto che hai con il paese, con l’istruzione, ma anche di che tipo di aspirazioni ci sono nelle “classi subalterne”.
DIANE: La mia questione, infatti, non è tanto se bisogna fare cose più comprensibili o livellate verso il basso, il mio timore è che non riuscendo più a stare in dialogo con le persone, allora ci si racchiuda in nicchie in cui parliamo solo con chi la pensa come noi. È il mondo dei social, che ci fa parlare solo con chi parla come noi, mentre invece è importante stare in dialogo con gli altri e con le persone diverse da noi, senza pensare di avere verità in tasca.
Cosa vi hanno insegnato i laboratori? Anche rispetto al lavoro su un vostro testo ad esempio?
GIORGIO: Moltissime cose. Innanzitutto noi facciamo anche scrittura di testi nostri, ed effettivamente coi laboratori invece affrontiamo spesso testi classici e contemporanei della tradizione teatrale. Questo ci dà la possibilità di relazionarci con testi classici, una cosa che è difficile fare nel professionismo, perché vai incontro a difficoltà di permessi e altro; Anche il discorso dell’insieme - in un corso di formazione si lavora con un’umanità composta da 15 a 35 individui e questa cosa è molto bella perché fare teatro in tanti cambia la relazione con il pubblico, con le possibilità creative; hai un numero che ti permette di creare dinamiche sceniche più dettagliate, ma è proprio bello lavorare con una diversità data.
ALBERTO: Come ha detto Giorgio, dal punto di vista tecnico ti diverti a mettere in scena cose che magari nella carriera professionale di attore o regista non hai modo di usare.
A me inoltre diverte e mi nutre molto avere il polso di ciò che succede in una generazione vicino alla mia: ho di fronte uno spettro di persone dove mi ricentro, proprio perché ho tante cose diverse davanti. Nell’epoca che stiamo affrontando, “vivere nella bolla” è una cosa che ci decentra molto, non ci fa più rintracciare dove sta la società collettiva, ma abbiamo tante piccole società.
GIORGIO: Aggiungo un’altra cosa: l’arte della pazienza. Gestire un gruppo di tante persone ti fa incazzare, certo, ma devi anche sapere che non tutte le persone viaggiano alla stessa velocità o hanno la stessa percezione - anche banalmente del fare bene o del fare male. Quindi devi essere sempre in grado di tutelare sia la forza del gruppo, sia la forza del singolo - se c’è qualcuno che spicca e sta andando benissimo ho bisogno di dargli una fiamma, ma non posso nemmeno punire chi fa altro, perché viene per imparare e ognuno ha le sue specificità e il suo percorso.
Ultima cosa, ti insegna anche che alla fine, in ogni caso, ce la fai a farcela e da qualche parte arrivi.
DIANE: Sono due cose molto importanti, la pazienza significa anche che con gli altri ci devi stare, che non è una cosa facile; il “farcela” credo ti insegni anche la fatica, l'obbligo di un percorso fatto di studio e fatica, mentre nell’epoca in cui viviamo sembra tutto facile – e questo, allo stesso tempo, porta a far sì che tutto diventi doloroso perché tutto sembra così immediato da farci sentire sbagliati e a non capire che fallimenti, fatica, difficoltà fanno parte della nostra vita.
ALBERTO: Si, noi vediamo spettri talmente diversi di persone. In questi dieci anni di laboratorio è successo di tutto, si creano microcomunità in cui si devono risolvere sia questioni di gruppo che individuali.
DIANE: Direi di terminare con una presentazione degli spettacoli e degli altri insegnanti che fanno parte della vostra squadra.
GIORGIO: Si, e aggiungo una cosa sulla fatica. A noi piace pensare che gli spettacoli siano una fase del percorso, in cui si apre il percorso al pubblico, ma poi c’è comunque sempre un evolvere, un continuare a stare insieme e lavorare e la fatica continua.
ALBERTO: Proseguo con gli spettacoli. Abbiamo iniziato il 2 e il 3 maggio con “Alla ricerca dell’uccellino azzurro” - liberamente tratto da "L'uccellino azzurro" di Maurice Maeterlinck - del corso base, a cura di Federico Ghelarducci (nuovo collaboratore di quest'anno) e con aiuto regia di Francesco Merlino.
I prossimi saranno:
"Circo Beckett" - 8 e 9 maggio - liberamente tratto dalle commedie di S. Beckett - del corso cechov, a cura di Giorgio Vierda e con aiuto regia di Saverio Ottino
"Storia di una banca americana - capitolo primo" - 11 e 12 maggio - liberamente tratto da "Lehman Trilogy" di Stefano Massini - del corso base, a cura di Alberto Ierardi e con aiuto regia di Gabriele Licata
"Viza de Tranzit" - 18 e 19 maggio - liberamente tratto da "Occidental Express" di Matéi Visniec - del corso intermedio, a cura di Margherita Galli (collaboratrice di quest'anno e dell'anno scorso) e con aiuto regia di Amela Haveriku
"Stavamo solo ridendo" - 22 e 23 maggio - liberamente tratto da "DNA" di Dennis Kelly - del corso avanzato, a cura di Marta Paganelli (collaboratrice storica della formazione) e con aiuto regia di Davide Bartaletti
"Storia di una banca americana - capitolo ultimo" - 25 e 26 maggio - liberamente tratto da "Lehman Trilogy" di Stefano Massini - del corso anouilh, a cura di Alberto Ierardi e con aiuto regia di Gabriele Licata
"Romeo e Giulietta" - 30 e 31 maggio - del corso beckett, a cura di Margherita Galli e con aiuto regia di Francesco Bologna
"Le due Coree" - 5 e 6 giugno - liberamente tratto da "La riunificazione delle due Coree" di Joel Pommerat - del corso giradoux, a cura di Federico Ghelarducci e con aiuto regia di Francesco Germana
"Amleto" - 8 e 9 giugno - del corso studio, a cura di Giorgio Vierda e con aiuto regia di Saverio Ottino
Tutti gli spettacoli si terranno alle ore 21:00, ovviamente al Cinema Lumière!

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